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Il danno estetico è una componente del danno biologico

Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 3 ottobre 2025, n. 26670

Pedone viene investito da un pullman di linea. L’accertamento in termini percentuali del concorso di colpa della vittima è il frutto di un procedimento logico e non matematico, e, come tale, insuscettibile di giustificazione analitica. La lesione dell’integrità estetica e quindi il danno estetico è una componente del danno biologico: il Giudice deve tenerne conto nella liquidazione, nel quale va ricompresa, però non è escluso procedere ad una liquidazione a parte, al fine di meglio adeguare l’ammontare del risarcimento alla effettiva entità del pregiudizio.

I fatti

La vittima si immetteva sulla strada in un punto privo di strisce pedonali; il conducente del pullman provenendo da tergo, nell’effettuare una manovra di svolta, dapprima si allargava alla sinistra della propria corsia di percorrenza, posizionandosi completamente contromano (in ragione delle modeste dimensioni della carreggiata, oltre che per l’ingombro dato alla stessa da veicoli parcheggiati), per poi rientrare nella propria corsia. Nel concludere tale manovra non si sarebbe avveduto che il pedone era già sulla strada, nell’atto di completare con un solo passo l’attraversamento, investendolo e sormontandogli la gamba con la ruota anteriore destra.

Il Tribunale ha riconosciuto la concorrente responsabilità del pedone, sebbene i testi escussi avessero reso dichiarazioni non convergenti circa il fatto che il pedone aveva iniziato l’attraversamento prima della svolta da parte del pullman, risultava, comunque, confermato che fu la vittima stessa a urtare il pullman all’altezza della ruota, avendo trascinato il piede sotto di essa. Del pari, l’esame testimoniale avrebbe confermato che la vittima, con una minima diligenza, sarebbe stata in grado di accorgersi del pullman che stava procedendo a velocità ridotta. Quanto all’ammontare del risarcimento, constatando che la somma liquidata risultava superiore all’importo percepito dal danneggiato, sia a titolo di acconto che ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, il Tribunale disponeva che nulla fosse liquidato all’allora attore.

Il secondo grado riconosce il danno biologico da invalidità temporanea, confermando, per il resto, la decisione del primo Giudice.

La Corte di Roma ha riconosciuto la concorrente responsabilità del pedone nella misura del 75%, nella causazione del sinistro stradale, incrementando la misura del risarcimento per il danno biologico da invalidità temporanea, così liquidando la somma di Euro 7.724,69, oltre a quanto liquidato in primo grado.

Il ricorso in Cassazione

Il pedone danneggiato lamenta in Cassazione la presunzione iuris tantum di colpevolezza del conducente di un veicolo a motore e censura la sentenza di appello laddove ha confermato il concorso dello stesso danneggiato, nella misura del 75%, nella causazione del sinistro.

La Corte di Roma, secondo il danneggiato, sarebbe incorsa in due errori. il primo, per aver disertato l’effettivo motivo di gravame, incentrato nel porre quale “base di partenza” dell’indagine e della decisione la presunzione di colpa a carico del conducente investitore e l’assenza della prova liberatoria e, non ripercorrere, errando, le statuite motivazioni del Tribunale; il secondo, per aver compiuto un’indagine al “contrario”, cioè ponendo quale “base di partenza”, il solo comportamento del pedone, così relegando in secondo piano la condotta imperita, negligente, distratta e vietata del conducente del pullman, sebbene gravato dalla presunzione di colpevolezza, valutandola in modo secondario e sussidiario, così da snaturare la portata dell’art. 2054, comma 1, c.c.. Difatti, la corretta applicazione della norma avrebbe richiesto dapprima l’apprezzamento della condotta del conducente, per poi valutare se quella del pedone si fosse posta come improvvisa e imprevedibile.

Il rigetto della Cassazione

Come già detto, la vittima contesta la decisione doppia conforme, inerente alla propria corresponsabilità nella misura del 75%.

Ora, costituendo l’accertamento in termini percentuali del concorso di colpa della vittima il frutto di un procedimento logico e non matematico, e, come tale, insuscettibile di giustificazione analitica, chi censura il relativo accertamento compiuto non può limitarsi ad invocare che la corresponsabilità della vittima fosse in realtà maggiore, o minore, di quella accertata, ma ha l’onere di dedurre la “apparenza” di motivazione sul punto.

Non può ragionevolmente affermarsi che la Corte di Roma abbia violato l’art. 2054 c.c. sovvertendone la ratio, per aver posto l’attenzione sulla condotta del pedone investito.

Nel caso oggetto di esame, non rileva il principio secondo cui, in caso di investimento di un pedone, per superare la presunzione di responsabilità che l’art. 2054, pone a carico del conducente del veicolo investitore nella misura del 100%, è necessaria la dimostrazione, da parte del medesimo, che l’improvvisa ed imprevedibile comparsa del pedone sulla propria traiettoria di marcia abbia reso inevitabile l’evento dannoso.

La condotta del pedone

Ciò in quanto è stata valutata l’incidenza che la condotta del pedone ha avuto, ai sensi dell’art. 1227 c.c. ai fini dell’eventuale delimitazione del danno risarcibile, sicché tale circostanza poteva – o meglio, doveva – essere apprezzata anche solo in termini di colpa (e non di imprevedibiità).

La Corte di Roma ha dato rilievo alla violazione, non solo del comma 2 dell’art. 190 CdS, ma pure del comma 5 del medesimo articolo “i pedoni che si accingono ad attraversare la carreggiata in zona sprovvista di attraversamenti pedonali devono dare la precedenza ai veicoli”. I Giudici di secondo grado hanno affermato che il pedone, stante la contingente situazione ambientale (ora diurna, traffico normale, visibilità buona, avrebbe dovuto in modo agevole avvedersi del pullman che stava svoltando a destra a velocità estremamente ridotta, ciò che, in uno con l’assenza delle strisce pedonali, gli imponeva di attendere il momento più propizio prima di iniziare ad attraversare con la prudenza e attenzione, in concreto esigibili e nella specie mancate, in particolare dando la precedenza al pullman che a velocità ridotta aveva quasi concluso la svolta a destra per 2/3.

La decisione del Giudice d’appello, quindi, è allineata alla statuizione secondo cui, in caso di investimento di un pedone, la lettura combinata dell’art. 2054 – che pone una regola nella quale la prevenzione è prevalentemente a carico del conducente del veicolo investitore – e dell’art. 1227 c.c. esige da parte del Giudice di merito che si svolga uno specifico accertamento delle rispettive colpe in relazione alla particolarità del singolo caso in esame. E difatti, il conducente del pullman non ha superato la presunzione iuris tantum di colpa che le citate norme pongono a suo carico, non avendo assolto l’onere della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.

Questo significa che le censure svolte dal pedone mirano a una rivalutazione dei fatti storici non consentita alla Corte di Cassazione.

Il danno estetico è una componente del danno biologico

Passando al danno risarcito al pedone, la Corte di Roma non ha provocato alcun “vuoto risarcitorio”, né ha lasciato prive di motivazione le doglianze della vittima ritenendo corretta la scelta del Tribunale di incrementare la liquidazione in via equitativa attribuendo l’ulteriore importo di Euro 10.255,04, e ciò al fine di tener conto e valorizzare l’afflittività connessa alla lesione e ai postumi reliquati, sebbene inglobando nella valutazione dell’invalidità permanente (17%) anche il pregiudizio all’integrità fisiognomica, oltre che il danno da cenestesi lavorativa, e ciò, peraltro, nonostante il totale difetto di allegazione prima ancora che di prova, da parte dell’attore, di peculiari circostanze specifiche tali da rendere il danno concreto da lui subito più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età.

Anche su questo puto la Corte di Roma ha deciso correttamente. Il riconoscimento del danno fisiognomico (o meglio, estetico) ha confermato il principio secondo cui la lesione dell’integrità fisionomica costituisce una componente, o aspetto, del danno biologico, sicché di essa il Giudice deve tenere conto nella liquidazione di quest’ultimo, nel quale va ricompreso, però non è escluso che il Giudice, avendo correttamente inquadrato la natura del danno in esame, possa -ma non necessariamente debba – procedere ad una liquidazione a parte, al fine di meglio adeguare l’ammontare del risarcimento alla effettiva entità del pregiudizio.

Avv. Emanuela Foligno

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