Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 6 ottobre 2025, n. 26826
In questa sentenza vengono affermati due importanti principi di diritto nella interessante decisione a commento: 1. il danno da perdita del feto imputabile ad omissioni e ritardi dei medici è morfologicamente assimilabile al danno da perdita del rapporto parentale. 2. la perdita del frutto del concepimento prima della sua venuta in vita, imputabile a omissioni e ritardi dei medici, determina la risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale.
I fatti
Chiamato in causa è l’Ospedale di Benevento. Alle 20.40 del 25 luglio del 2008, la gravida, venticinquenne all’epoca dei fatti, giunta alla quarantunesima settimana di gravidanza e ormai prossima al parto, viene accompagnata al pronto soccorso dell’Ospedale Rummo di Benevento. Fino dalle ore 20.58 vennero riscontrati segnali cardiotocografici di allarme, mentre un successivo tracciato eseguito circa 3 ore dopo avrebbe evidenziato una perdita di variabilità durante le decelerazioni – sintomo di sofferenza fetale. Benché gli esami strumentali avessero indicato una chiara situazione di pericolo, nessun intervento venne eseguito durante l’intera notte, essendosi i sanitari limitati a ripetere i tracciati cardiotocografici. Nonostante la donna avesse più volte evidenziato di non sentire più alcun movimento della bimba nel suo grembo, soltanto alle 9.45 del giorno successivo veniva eseguita una ecografia – che mostrava segni di grave compromissione del feto – e soltanto alle 10.11 si procedeva al parto cesareo.
Dopo trenta minuti dalla nascita, la piccola decede, pur essendo stata sottoposta ad inutili interventi di rianimazione, a causa di una grave asfissia perinatale.
La vicenda giudiziaria
La puerpera, con il marito e i nonni paterni e materni della neonata citano l’Azienda ospedaliera dinanzi al Tribunale di Benevento che ritiene configurabile la fattispecie della perdita non del feto, ma della piccola neonata (alta 50 cm, dal peso di 3,2 kg., compiutamente formata e priva di qualsivoglia patologia fino al momento in cui era iniziato il travaglio della mamma) e riconosce il danno da perdita del rapporto parentale nella misura minima prevista dalle tabelle di Milano all’epoca vigenti (165.000 Euro ciascuno ai genitori), considerata la brevissima durata del rapporto parentale e la loro giovane età, che gli aveva consentito di generare altri due figli, il primo concepito dopo soli 5 mesi dalla morte di una sorellina mai conosciuta – quanto dei nonni (24.000 Euro ciascuno), mentre viene rigettata quella proposta in nome e per conto dei fratellini, non ancora concepiti all’epoca dei fatti.
La Corte di appello di Napoli dimezza il risarcimento riconosciuto in primo grado a ciascuno dei danneggiati, e rigetta ogni altra impugnazione. I Giudici di secondo grado svolgono il seguente ragionamento:
- a) che la piccola sia stata estratta dal grembo materno già priva di vita, con punteggio APGAR pari a zero sia al primo che al quinto minuto;
- b) In materia di riconoscimento del danno da perdita del rapporto parentale con riferimento alla peculiare fattispecie del feto nato morto non si poteva prescindere dall’insegnamento espresso dalla Suprema Corte nella pronuncia 22859/2020, vicenda in relazione alla quale la era stato liquidato un importo pari alla metà dei minimi previsti dalle tabelle milanesi;
- c) In questa ipotesi, viene ad essere pregiudicata una relazione affettiva non già concreta, bensì potenziale, fuori dall’ambito di una tabellazione espressa comunque connessa ad un rapporto parentale effettivo;
- d) Ammessa, in tesi, la piena risarcibilità del danno da perdita della relazione affettiva potenziale come affermato dalla Corte con la sentenza 22859/2020, il motivo di gravame subordinato, inerente al quantum, verrà giudicato fondato, poiché trattandosi di un rapporto affettivo potenziale equa e congrua appariva la liquidazione il danno nella misura della metà dei minimi previsti dalle attuali tabelle milanesi.
L’intervento della Cassazione
Il Tribunale di Benevento aveva ricostruito la vicenda in termini di perdita non solo di frutto del concepimento, ma proprio della figlia neonata compiutamente formatasi, viva, e priva di alcuna patologia, tanto da venir regolarmente registrata presso l’ufficio di stato civile di Benevento, mira a contestare la tesi, fatta propria dalla Corte di Appello, secondo cui la perdita del feto rappresenterebbe una perdita del rapporto parentale non effettivo, ma soltanto potenziale.
Questa testè frutto di un principio espresso in passato in due pronunce di Cassazione secondo cui, nella liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale per il parto di un feto morto, il Giudice di merito, nell’applicare i parametri delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, può operare la necessaria personalizzazione, in base alle circostanze del caso concreto, riconoscendo ai danneggiati una somma inferiore ai valori minimi tabellari in considerazione della mancata instaurazione di una relazione affettiva, in quanto tale circostanza non è riconducibile alle tabelle ed esprime il differente caso di una relazione soltanto potenziale.
Sostengono di converso i ricorrenti che questa tesi non tiene conto della rilevanza della relazione con il feto, ossia del fatto che anche con il feto si instaura una relazione parentale vera e propria, e che dunque la sua perdita è fonte di pregiudizi non patrimoniali al pari della perdita di un neonato o di un congiunto.
Queste censure sono corrette e vengono accolte.
Se per danno potenziale si fa riferimento alla mancata evoluzione di un rapporto genitore-figlio, normalmente destinato a dipanarsi nel tempo, ed impedito dalla colpevole attività dei sanitari, la definizione è senz’altro corretta. Non lo sarebbe se essa spingesse, negandola, nella doppia dimensione del danno da perdita di un feto (o di un neonato) escludendone la rilevanza sia sotto il profilo della sofferenza interiore (specie della madre, che vive per nove mesi un rapporto via via sempre più intenso, in una dimensione di progressiva immedesimazione, con il frutto del concepimento), sia sotto quelli dinamico-relazionale, poiché la quotidianità della vita di due genitori che perdono un figlio anche soltanto concepito non è paragonabile a quella di genitori che, quel figlio, lo hanno visto nascere, e si preparano ad accompagnarlo giorno dopo giorno in tutte le stagioni della sua vita.
Pertanto, la S.C. riafferma principi già espressi (n. 26301/2001): circoscrivendo nella sua sola dimensione funzionale – riduttivamente ed impropriamente – il danno da perdita del frutto del concepimento, si omette di considerare che, in realtà, i genitori prima, il Giudice poi, si trovano al cospetto di un vero e proprio danno da perdita del rapporto parentale. E si rammenta ancora, in motivazione, come anche la tutela del concepito abbia un sicuro fondamento costituzionale come ripetutamente affermato dal Giudice delle leggi, rilevando in tale prospettiva non solo la previsione della tutela della maternità sancita dall’art. 31, secondo comma, Cost., ma anche quanto stabilito dall’art. 2 Cost., norma che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito (Corte costituzionale n. 27 del 1975).
Danno da perdita del feto è assimilabile al danno da perdita del rapporto parentale
L’approdo definitivo di un lungo e sofferto percorso interpretativo ha ora colto la reale fenomenologia del danno alla persona chiarendo definitivamente la differenza strutturale tra qualificazione della fattispecie e quantificazione del danno.
Tutti gli “aspetti” di due genitori che hanno subito il dolore rappresentato dalla morte di una neonata, ovvero del frutto del concepimento appena estratto dal corpo della madre, non possono, pertanto, considerarsi “danno potenziale” come tale avulso dalla dimensione del dolore genitoriale, risultando tale espressione, se così erroneamente interpretata, del tutto non conforme alla realtà, prima ancora che al diritto.
Il Giudice del rinvio dovrà valorizzare l’aspetto della sofferenza interiore patita dai genitori, che nella perdita di un rapporto parentale (specialmente di un figlio) è proprio la dimensione del dolore, assai più che la modifica della propria vita di relazione, a rappresentare l’aspetto più significativo del danno. Vi è una radicale differenza tra il danno per la perdita del rapporto parentale e quello per la sua compromissione dovuta a macrolesione del congiunto rimasto in vita.
In conclusione, viene accolto il ricorso incidentale dei danneggiati limitatamente alla censura sopra esposta. La Corte di Cassazione enuncia gli importanti principi di diritto, cui il Giudice del rinvio dovrà attenersi:
“In tema di Responsabilità sanitaria, il danno da perdita del feto imputabile ad omissioni e ritardi dei medici è morfologicamente assimilabile al danno da perdita del rapporto parentale, che rileva tanto nella sua dimensione di sofferenza interiore patita sul piano morale soggettivo, quanto nella sua attitudine a riflettersi sugli aspetti dinamico-relazionali della vita quotidiana dei genitori e degli altri eventuali soggetti aventi diritto al risarcimento del danno.”
“… la perdita del frutto del concepimento prima della sua venuta in vita, imputabile a omissioni e ritardi dei medici, determina la risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale, che si manifesta prevalentemente in termini di intensa sofferenza interiore tanto del padre, quanto (e soprattutto) della madre”…
Le osservazioni dell’avvocato Foligno
La pregevole decisione della Cassazione qui commentata pone in rilievo, a parere di chi scrive, una differenziazione rilevante da un punto di vista qualitativo/quantitativo del risarcimento. Difatti, contrariamente alle originarie teorie giurisprudenziali elaborate alla fine de secolo scorso sul tema del lutto, quella della cosiddetta elaborazione del lutto è un’idea fallace, poiché tutti “camminiamo” nel mondo circondati da assenze che hanno segnato la nostra vita e che continuano ad essere presenti tra noi. Il dolore del lutto non ci libera da queste assenze, ma ci permette di continuare a vivere e di resistere al dolore di ciò che abbiamo perduto. Il vero danno, nella perdita del rapporto parentale, è la sofferenza, non la relazione. È il dolore, non la vita, che cambia una persona, se la vita è destinata, sì, a cambiare, ma, in qualche modo, sopravvivendo a sé stessi nel mondo.
Avv. Emanuela Foligno