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Minore muore per overdose, riduzione del risarcimento ai genitori per concorso di colpa della vittima

Corte di Cassazione, III civile, sentenza 6 ottobre 2025, n. 26798

Un minore è deceduto dopo aver assunto volontariamente eroina acquistata da un coetaneo. I genitori della vittima hanno subito il danno riflesso della tragedia, ma il contributo causale del figlio all’evento ha inciso sulla quantificazione del risarcimento loro dovuto.

I fatti

La vittima minorenne acquista da un suo coetaneo, una dose di sostanza stupefacente (poi rivelatasi eroina pura) per un quantitativo pari a 30 milligrammi.

La sera stessa il ragazzo, assunta la dose di eroina associandola ad alcol e cocaina, decede.

I genitori e la sorella hanno agito in giudizio sia nei confronti del coetaneo “venditore” della sostanza, sia dei suoi genitori, cui è stato mosso l’addebito della omessa sorveglianza ed educazione ex art. 2048 c.c., per i danni iure proprio e iure hereditatis in quanto ritengono che la causa della morte era da identificarsi non solo nel consapevole uso della sostanza stupefacente, ma anche nella volontaria assunzione di alcol da parte del minore poi deceduto.

Accertata la responsabilità del “venditore”, il Tribunale ritiene anche responsabili i suoi genitori, ex art. 2048 c.c., sulla base di plurime e convergenti circostanze di fatto tali da rendere incontrovertibile l’inadeguatezza della funzione educativa svolta da entrambi, attestante, tra l’altro, la comprovata consapevolezza della vicinanza del figlio al mondo degli stupefacenti.

Il Giudice di merito ha anche ritenuto rilevante la condotta della vittima, sotto il profilo del concorso colposo, valorizzando, in particolare, la volontaria e consapevole assunzione della sostanza stupefacente.

Ergo, seguendo i dettami dell’art. 1227 comma 1 c.c., il concorso causale della vittima nell’evento di di danno viene quantificato nella misura del 50%, escludendosi che l’assunzione di alcol avesse ulteriormente contribuito (con efficacia assorbente, ovvero quantomeno con-causale, come pure sostenuto da parte convenuta) a determinare l’evento letale.

La Corte di Appello di Perugia rigetta l’appello principale dei soccombenti e accoglie quello dei congiunti della vittima limitatamente all’omesso riconoscimento del danno biologico sofferto iure proprio dal padre dell’adolescente deceduto.

I buona sostanza, i Giudici di appello hanno motivato:

  • a) che il Tribunale, nel rispetto del principio del contradditorio, avesse correttamente fondato il proprio convincimento (non sul contenuto della detta sentenza di condanna, ma) sulle prove raccolte nel processo penale;
  • b) che la causa della morte del ragazzo fosse riconducibile alla volontaria assunzione della dose letale di eroina cedutagli nel pomeriggio dal coetaneo, anche a prescindere dalla contestuale assunzione di alcol e cocaina, come evidenziato dal CTU del giudizio penale minorile;
  • c) che la responsabilità dei genitori del cedente fosse stata correttamente accertata dal primo grado, alla luce di plurime e convergenti circostanze di fatto (tra le altre, una realtà familiare definita dall’assistente sociale “poco fluida e serena”, le reiterate doglianze sull’eccessivo permessivismo da parte del padre espresse dall’altra figlia, l’inerte consapevolezza da parte i genitori della condizione di tossicodipendenza del figlio, onde la prova dell’inadeguatezza della vigilanza e dell’educazione del figlio e il conseguente, mancato superamento della presunzione di cui all’art. 2048 c.c.;
  • d) che altrettanto correttamente era stato predicata l’esistenza di un contributo causale paritario da parte della vittima, alla luce della sua volontaria e consapevole assunzione della sostanza stupefacente;
  • e) che del tutto correttamente la vicenda del danno autoprodotto era stata valutato dal tribunale, sul piano della causalità materiale, in senso rigorosamente oggettivo, a prescindere dalla imputabilità della condotta colposa sul piano soggettivo – non potendosi operare una indebita supervalutazione del contributo causale offerto dalla vittima dapprima sotto il (corretto) profilo della causalità materiale, e poi sotto quello (non corretto) di una culpa in vigilando ed educando ascritta ai suoi genitori ex art. 2048 c.c.

Il ricorso in Cassazione

I soccombenti si rivolgono alla Suprema Corte ma il ricorso non viene accolto.

Deducono che se i Giudici di merito avessero valutato correttamente la condotta del danneggiato, avrebbero correttamente interpretato la causalità materiale, addebitando interamente l’evento al danneggiato.

Ebbene, l’ipotesi prevista dall’art. 1227, comma 1, c.c., riguardando il contributo eziologico del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso, va distinta da quella disciplinata dal comma 2 dello stesso articolo la quale, riferendosi al comportamento, successivo all’evento, con il quale il medesimo danneggiato abbia prodotto un aggravamento del danno ovvero non ne abbia ridotto l’entità, attiene al danno- conseguenza.

Il secondo comma ha ad oggetto la diversa ipotesi per cui il danneggiato, pur non concorrendo, sul piano della causalità materiale, alla produzione dell’evento, ne abbia aggravato le conseguenze, così ponendosi sul diverso e concorrente piano della causalità giuridica. Correttamente, dunque, i Giudici di merito hanno accertato l’esistenza di un nesso di causalità materiale tra le condotte dei due minori e il decesso.

Entrambi i Giudici di merito hanno ritenuto che il concorso di colpa del danneggiato andasse valutato oggettivamente, a prescindere non solo dagli stati soggettivi (il minorenne andava equiparato ad un maggiorenne, quanto a capacità di intendere e volere) ma anche dalla vigilanza da parte dei genitori – e dunque dalla responsabilità di terzi – per l’omesso controllo della vittima, diciassettenne all’epoca dei fatti.

Proprio per tale ragione è stata svolta una riduzione del risarcimento riconosciuto ai genitori della vittima iure proprio, ex art. 1227 c.c., in conseguenza del contributo causale riconducibile alla condotta del figlio rispetto al danno autoprodotto, ma non anche l’ulteriore riduzione ascrivibile alla loro Responsabilità vicaria, ossia al presunto difetto di vigilanza o di educazione del figlio disciplinato dall’art. 2048 c.c.

Nel caso dei genitori destinatari dell’azione risarcitoria – cioè chiamati a rispondere per culpa in vigilando o in educando in concorso con il figlio minorenne al fine di una ulteriore diminuzione del risarcimento loro dovuto iure proprio (oltre a quella già predicabile per il concorso del minore ex art. 1227 c.c.) è necessario che l’atto di quest’ultimo possa essere qualificato come atto illecito, conseguentemente la responsabilità dei genitori deve essere esclusa anche quando il fatto, pur dannoso, non possa essere legittimamente collocato all’interno di tale categoria.

La Corte di Appello, pertanto, ha fatto corretta applicazione del principio, ormai pacifico, a mente del quale, se il minore ha concorso a cagionare il danno a se stesso, il risarcimento dovuto ai suoi genitori si riduce in funzione del suo contributo causale alla verificazione dell’evento, senza bisogno di indagare quale sia stato il loro ruolo nella vicenda, volta che la sola, possibile riduzione risarcitoria è l’effetto del concorso di colpa del minore, mentre non si può ammettere una riduzione ulteriore dovuta alla colpa presunta di omessa vigilanza ed educazione del figlio.

La decisione dei Giudici di merito è fondata, di converso, su di una lettura dell’art. 2048 c.c. che istituisce i genitori responsabili del fatto (del minore) solo qualora esso sia illecito.

I genitori del minore che abbia acquistato e poi assunto volontariamente una quantitativo mortale di sostanza stupefacente, e che sia rimasto vittima di tale comportamento, subiranno, pertanto, una riduzione del risarcimento loro dovuto per il danno patito iure proprio, ai sensi dell’articolo 1227 c.c., volta che quel danno è stato (in parte) materialmente causato dalla condotta del figlio deceduto, ma non potranno subire una ulteriore riduzione di quel risarcimento, ex art. 2048 c.c., se la condotta del minore non abbia rivestito il carattere della illiceità.

Il ricorso viene rigettato e la Suprema Corte enuncia i seguenti principi di diritto:

  • 1) In tema di responsabilità cd. “vicaria” dei genitori del minore, ai fini della (ulteriore) riduzione del risarcimento del danno subito iure proprio (nella specie, morte del figlio per assunzione di sostanza stupefacente) e già ridotto in applicazione del comma primo, prima parte, dell’art. 1227 c.c. per essere stata ritenuta la condotta del danneggiato concausa dell’evento di danno, deve valutarsi esclusivamente se quest’ultimo abbia tenuto o meno un comportamento illecito, ossia oggettivamente in contrasto con una regola di condotta stabilita da norme positive, a prescindere dalla sua età e dal suo stato di incapacità.
  • 2) La norma di cui all’art. 1227, comma 1, prima parte c.c. ha riguardo all’accertamento del nesso di causalità materiale, onde l’eventuale contributo causale della vittima all’evento dannoso è di tipo oggettivo e prescinde dall’imputabilità della condotta colposa sul piano soggettivo. L’eventuale condotta della vittima incapace, deve – pertanto – essere valutata alla stregua dello standard ordinario di comportamento diligente dell’uomo medio, senza tener conto della sua incapacità di intendere e di volere. Una siffatta valutazione oggettiva della condotta della vittima incapace, qualora non integri gli estremi di un autonomo fatto illecito, assorbe ogni rilievo circa la condotta del soggetto tenuto alla sua sorveglianza sotto il profilo di una sua eventuale culpa in vigilando e/o in educando, in quanto quest’ultima resta di fatto assorbita e superata dal fatto che la valutazione della condotta della vittima incapace viene effettuata secondo un criterio che non tiene conto della sua incapacità, operando invece su di un piano esclusivamente oggettivo e materiale.
  • 3) Il principio di cui all’art. 1227 c.c. (riferibile anche alla materia del danno extracontrattuale per l’espresso richiamo contenuto nell’art. 2056 c.c.) della riduzione proporzionale del danno in ragione dell’efficienza concausale della condotta del soggetto danneggiato si applica anche quando questi sia incapace di intendere o di volere per minore età o per altra causa, e tale riduzione deve essere operata non solo nei confronti del danneggiato, che reclama il risarcimento del pregiudizio direttamente patito al cui verificarsi ha contribuito la sua condotta, ma anche nei confronti dei congiunti che, in relazione agli effetti riflessi che l’evento di danno subito proietta su di essi, agiscono per ottenere il risarcimento dei danni iure proprio, restando peraltro esclusa – nell’ipotesi in cui la condotta concorrente della vittima non abbia il carattere dell’illecito, giusta il principio di cui all’art. 2048 c.c. – la possibilità di far luogo ad una ulteriore riduzione del danno risarcibile sulla base di un loro ipotetico concorso nella sua causazione per culpa in educando o in vigilando.

Avv. Emanuela Foligno

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