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Incendio in magazzino di cannabis e mancata prevenzione, datore condannato

L’incendio in un magazzino di cannabis light, che aveva provocato una serie ustioni a due dipendenti, era divampato a causa di una fiammata sprigionata da un termoventilatore, il quale aveva causato una serie di esplosioni a catena delle bombolette di gas stoccate all’interno del magazzino. Il datore di lavoro non aveva predisposto il Documento di Valutazione dei Rischi e non aveva designato il RSPP (Corte di Cassazione, quarta penale, sentenza 1 agosto 2025, n. 28202).

I fatti

GIP e Corte di appello di Milano ritengono il datore di lavoro responsabile dei reati di incendio colposo e lesioni colpose ai danni di due dipendenti, per violazione di plurime disposizioni per la prevenzione e sicurezza nei posti di lavoro contenute nel D.Lgs. n. 81 del 2008. Infatti in qualità di legale rappresentante della ditta TOL, esercente attività di preparazione e vendita di cannabis light, facendo svolgere ai medesimi l’attività lavorativa mediante uso di uno “scaldino” elettrico in locale ove erano presenti bombolette di gas butano, propano e isobutano, utilizzate per la lavorazione della canapa, senza utilizzare tutte le dovute cautele idonee ad impedire la formazione di una miscela esplosiva, cagionava per colpa una violenta esplosione con successivo incendio di vaste proporzioni anche su capannoni adiacenti utilizzati da altre ditte, in modo da subire tutti e tre gravi ustioni e lesioni personali di vario tipo.

Il procedimento penale

Il Giudice di primo grado assolve i due lavoratori dall’imputazione di cooperazione colposa nel reato di incendio ascritto loro unitamente al datore di lavoro per l’incendio in un magazzino di cannabis light. Invece condanna quest’ultimo per il reato di lesioni colpose.
La Corte di appello condivide la ricostruzione dei fatti adottata dal GIP del Tribunale, che si era avvalsa delle acquisizioni delle relazioni di servizio versate in atti e relative agli interventi del personale tecnico e ispettivo ATS, alla presenza dei Vigili del Fuoco e di Ufficiali di P.G., i quali avevano accertato che nell’area antistante l’ingresso del laboratorio erano presenti innumerevoli bombolette esplose, contenenti in origine una miscela di gas (butano, propano e isobutano) mentre all’interno del locale, vi erano anche materiali ferrosi e non identificabili e cumuli di cenere riconducibili in parte a fiori di cannabis.
Si era accertato, sempre nel corso del giudizio penale, che l’incendio era divampato mentre i due lavoratori e il datore di lavoro imbustavano e confezionavano cannabis, allorché si era sprigionata una fiammata da un termoventilatore e aveva determinato una serie di esplosioni a catena delle bombolette di gas stoccate all’interno del magazzino. Le fiamme avevano poi invaso i locali, alzandosi al di sopra della copertura del capannone.
Il datore di lavoro non aveva valutato i rischi presenti in azienda, non aveva predisposto il Documento di Valutazione dei Rischi, non aveva designato il RSPP, e i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio. Inoltre non aveva informato i lavoratori sui rischi per la salute e la sicurezza in generale e sui rischi specifici dell’attività svolta e non aveva effettuato la formazione dei lavoratori infortunati.

L’intervento della Cassazione

Il datore di lavoro sostiene che la sentenza di appello avrebbe acriticamente condiviso il primo grado, senza approfondire la insussistenza della prova in ordine al collegamento eziologico tra la condotta oggetto di condanna e l’esplosione incendiaria avvenuta in un capannone della ditta.

Denuncia, inoltre, che l’affermazione di responsabilità per il reato di lesioni colpose deriverebbe dall’approccio superficiale e apodittico seguito dal GIP e reiterato dalla Corte d’appello, posto che dalla responsabilità relativa al reato di incendio si era fatta derivare automaticamente quella per il diverso reato di lesioni. Non si era approfondito neanche il tema della condotta, che, come già si è dedotto per il reato di incendio, si sarebbe dovute esaminare alla luce dell’accadimento di un caso fortuito. Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.

Il datore di lavoro, da un lato tenta di scardinare l’affermazione di responsabilità evidenziando lacune motivazionali riferite, in primo luogo, all’attribuzione di responsabilità in ragione della titolarità del rapporto di lavoro, e quindi sulla base di una valutazione ex post, nonché, dall’altro lato, con riguardo alla ricostruzione del giudizio esplicativo. Secondo la tesi prospettata, entrambi i Giudici di merito avrebbero ritenuto che l’innesco dell’incendio sia dipeso dal termoventilatore utilizzato dallo stesso ricorrente, senza particolari evidenze e senza approfondire il tema del fatto imprevedibile e sopravvenuto che avrebbe potuto scatenare l’incendio.

Il vizio di travisamento della prova

Tuttavia, le argomentazioni spese dall’incolpato sono prive di specificità. Lo stesso non considera che l’accertamento della sua colpevolezza da parte di entrambi i Giudici di merito costituisce una “doppia conforme”, ergo il vizio di travisamento della prova può essere dedotto solo nell’ipotesi in cui il Giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo grado, ovvero quando entrambi i Giudici siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti.

Il compito del Giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai Giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

La sentenza impugnata non mostra tali vizi, né il ricorrente li ha palesati, anzi, non nega di avere utilizzato il termoventilatore, considerato quale origine dell’innesco nell’accertamento operato nei gradi di merito, ma introduce il dubbio che sia stato il suo imprevedibile malfunzionamento a scatenare l’esplosione e poi le fiamme. Invece, i Giudici, sulla base delle verifiche effettuate da ATS alla presenza dei vigili del Fuoco, oltre che delle dichiarazioni dei lavoratori presenti e infortunati, hanno ritenuto integrata la prova del nesso di causalità perché tale macchinario era esploso improvvisamente determinando la serie di esplosioni a catena delle bombolette di gas stoccate nel magazzino che avrebbe provocato l’incendio.

La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro

All’uopo la S.C. ribadisce con forza alcuni principi:

  • la normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro è fondata sul principio di matrice Euro unitaria, a partire dalla Direttiva 89/391/CEE, che aveva già trovato attuazione con il D.Lgs. 19 settembre 1994, n.626, della centralità della prevenzione, il che impone la costante ricerca del rischio effettivo e che non si presta alla sufficienza di un rischio genericamente individuato in ragione del tipo di ambiente lavorativo interessato.
  • I datori di lavoro (da intendersi dirigenti, committenti, preposti e tutti coloro che si definiscono “garanti”), devono organizzare un sistema idoneo a prevenire efficacemente gli infortuni individuando quali siano i rischi presenti sul luogo di lavoro e, caso per caso, quale sia stato il rischio in cui si sia concretizzato l’evento ai danni del lavoratore.
  • Il datore di lavoro ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive ricevute.

La condotta omissiva del datore di lavoro e l’incendio in un magazzino di cannabis light

Calandoci nel caso concreto, il capo d’imputazione è stato strutturato con specifico riferimento alla condotta omissiva del datore di lavoro, e il rischio descritto nell’ipotesi accusatoria in conseguenza di tale condotta omissiva, è stato più in dettaglio definito nelle sentenze individuando quali norme cautelari, in quanto violate, hanno fondato l’accusa di condotta colposa specifica.

Anche riguardo al reato di lesioni colpose la motivazione resa è sufficientemente argomentata, ravvisando la responsabilità in relazione a tale reato in ragione del fatto che le ustioni sui corpi dei lavoratori, sono concreta conseguenza dell’incendio, e quindi integranti un separato segmento del processo causale derivante dalla medesima condotta colposa in violazione delle norme a tutela della salute pubblica.

La S.C. dichiara il ricorso inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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