IASP (International Association for the Study of Pain) del 1979 definiva il dolore come: un’esperienza sensitiva ed emotiva spiacevole, associata ad un effettivo o potenziale danno tissutale o comunque descritta in rapporto a tale danno.
Nel 2004 l’American College of Physicians ha proposto una classificazione dei vari tipi di dolore (Woolf 2004), articolata in due categorie principali: il dolore come risposta di tipo adattativo e il dolore come forma di tipo non adattativo.
La risposta di tipo adattativo contribuisce alla sopravvivenza, proteggendo l’organismo da fattori lesivi e promuovendo la guarigione quando una lesione è comunque sopravvenuta, e si distingue a sua volta in dolore nocicettivo e in dolore infiammatorio.
Il dolore nocicettivo è un vero e proprio sistema d’allarme, che avverte della presenza di stimoli o eventi in atto potenzialmente dannosi, siano essi provenienti dall’ambiente esterno (stimoli meccanici intensi, termici d’intensità elevata, stimoli chimici da sostanze irritanti), sia dall’interno dell’organismo (trauma osseo o articolare, spasmi viscerali ecc.). Si tratta in genere di un dolore acuto, di breve durata, che viene immediatamente identificato per quello che riguarda la sede, l’intensità e la tipologia dello stimolo doloroso in atto, innescando, inoltre, meccanismi di sottrazione e di protezione.
Il dolore infiammatorio è invece relativo a un vero danno ai tessuti, che persiste per un certo tempo, come una ferita, un’ustione, una frattura ossea. Questa forma di dolore è più sorda e prolungata rispetto a quella del dolore nocicettivo, ha un andamento che procede di pari passo con l’evoluzione dell’infiammazione e scompare con la guarigione dei tessuti lesi.
Le forme dolorose di tipo non adattativo, al contrario, non si accoppiano a stimoli nocivi o a processi infiammatori e non rappresentano un sistema d’allarme, né sono un sintomo. Sono, invece, espressione di processi patologici che s’instaurano a livello del sistema nervoso stesso, sia periferico sia centrale, in grado di scatenare autonomamente il dolore. Tale dolore è spesso grave, ripetitivo o cronico, privo di finalità, risponde male ai trattamenti e diventa, a sua volta, una vera e propria forma di malattia. Anche in questo caso è possibile distinguere due categorie: si può parlare infatti di dolore neuropatico oppure funzionale.
Il dolore neuropatico deriva da lesioni che affliggono direttamente il sistema nervoso, periferico o centrale, includendo i nervi o i centri nervosi deputati al trasporto del dolore. Per analogia, si può pensare a un cavo elettrico scoperto, con molti filamenti interrotti e sfilacciati, che trasporta un segnale ‘alterato’. In campo clinico ne sono esempi la neuropatia diabetica, quella post-erpetica, quella successiva ad ictus cerebrale o a lesione del midollo spinale o a malattie neurologiche come la sclerosi multipla. Ne deriva un quadro di dolore grave, che tende a cronicizzare indipendentemente dal danno nervoso iniziale, con aspetti clinici particolari e specifici, caratterizzati da un dolore-bruciore, dalla presenza di formicolii, da sensazioni di scossa” o “pugnalata”, da iperalgesia (percezione di uno stimolo in sé doloroso con intensità molto accentuata) e da allodinia (percezione dolorosa di stimoli in sé non dolorosi come quelli tattili).
Per dolore funzionale si intende invece l’indipendenza dell’episodio doloroso da qualsiasi tipo di lesione organica. La genesi spontanea dell’evento, in genere a livello cerebrale, avviene per meccanismi fisiopatologici o biochimici, spesso geneticamente determinati o condizionati.
Dunque abbiamo un duplice aspetto del dolore: un dolore positivo, quello adattativo, che segnala pericoli e danni, e un dolore negativo, quello non adattativo, che persiste con i suoi connotati di sofferenza fisica anche in assenza di lesioni. Nel primo caso abbiamo un dolore-sintomo (campanello di allarme) e nel secondo un dolore-malattia. Nessuno si sognerebbe di sopprimere il primo, ma è di certo importante cercare di curare il secondo
Nel 2018, la IASP per un migliore inquadramento ha definito alcuni aspetti qualitativi e quantitativi
- Il dolore e la nocicezione sono fenomeni diversi. Il dolore non può essere dedotto solo dall’attività neurosensoriale
- Sebbene il dolore di solito abbia un ruolo adattativo, può avere effetti negativi sulla funzionalità e il benessere sociale e psicologico
- La descrizione verbale è solo uno dei numerosi modi per esprimere il dolore; l’incapacità di comunicare non nega la possibilità che un essere umano o un animale provi dolore.**
Il dolore “ cronico “ , qualunque ne sia la genesi determina dunque una ricaduta esistenziale contestuale sul “ fare “ e sul “ sentire “ della persona la cui rilevanza – sia ai fini del danno invalidante , sia ai fini della componente “ sofferenza correlata “ * * , cresce a seconda della
- Intensità e ricorrenza del dolore ( tenuto conto della sensibilità a trattamento farmacologico o alternativo )
- Sede e distribuzione del dolore
- Concorrenza con deficit funzionale fisico ( ove la componente dolorosa aggravi un coesistente deficit funzionale )
- Efficienza causale del “dolore “ nel determinare autonomamente un deficit funzionale
- Si impone pertanto una necessaria revisione di tale componente del “ danno alla persona “ che deve prevedere una oggettiva revisione degli aspetti valutativi medico legali trattandosi di materia attualmente relegata nei Bareme , salvo rare voci, quasi esclusivamente come componente di “aggravamento” di coesistente deficit funzionale anatomico , e non come “ autonoma componente di danno “
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Dr. Enrico Pedoja